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Le soft skills e il Corona virus: come cambia il mondo del lavoro secondo Nadia Osti

Le soft skills e il Corona virus: come cambia il mondo del lavoro secondo Nadia Osti

Nadia Osti ha 49 anni e gli ultimi venti li ha passati cercando di coniugare il benessere delle persone con la consapevolezza di far parte di un sistema organizzativo, lavorando sullo sviluppo continuo delle soft skills. È una psicologa del lavoro che svolge anche attività da psicoterapeuta, accompagnando i soggetti adulti nei loro momenti di fatica e disagio. Parallelamente insegna “Competenze trasversali per l’efficacia sul lavoro” all’Università di Bologna e si occupa di valutare le competenze trasversali per conto di SNA, Scuola Nazionale di Amministrazione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Da alcuni anni ha fondato con alcuni colleghi l’associazione Psicologi in Azienda, un network di professionisti per la valorizzazione del ruolo della psicologia nelle organizzazioni.

È dunque la persona giusta per parlare di come il mondo del lavoro, sia nella sua dimensione collettiva che in quella privata, sta attraversando questo momento di emergenza.

Nadia, il primo passo da cui vogliamo partire è un’istantanea della situazione che tutto il mondo del lavoro sta attraversando: il sistema Italia si è trovato a doversi organizzare in tempi molto stretti.

«I cambiamenti che ci arrivano dall’esterno non si possono scegliere, ciò che possiamo fare è decidere come viverli. Tutto il mondo del lavoro sta attraversando una nuvola di incertezza a cui bisogna reagire con una grande ristrutturazione e riprogettazione di modalità di gestione delle risorse e , talvolta , anche di obiettivi. Questo shock arrivato all’improvviso sta portando tutti molto velocemente verso nuove mete: gli shock possono lasciare traumi o apprendimenti.

Dovremo essere bravi a costruire il nostro futuro su questi apprendimenti, e eventualmente occuparci delle trasformazioni che avverranno dentro di noi. Per l’esperienza che deriva dal mio lavoro e dall’attività che svolgo ogni giorno posso osservare sia i problemi e sia i vantaggi con cui ci confrontiamo. I problemi principali sono legati all’essere esposti a situazioni e regole a cui nessuno di noi era abituato.

Tutti devono ricostruire nuove abitudini organizzative e di vita, anche se fosse per un determinato periodo di tempo. Questo impatta sull’equilibrio personale di ciascuno generando comportamenti diversi (quali ansia, disorientamento irritabilità) e stress».

Uno dei temi più dibattuti in questo periodo, e l’opinione pubblica sta producendo ampia letteratura in merito, è lo smart working. Cosa ne pensa?

«Innanzitutto dobbiamo fare una distinzione che sta alla base di tutto il ragionamento. Lo smart working è una scelta ragionata, mentre quello con cui ci troviamo a fare i conti ora è lavoro da remoto, reso obbligatorio da questa situazione. In Italia già c’erano aziende, soprattutto multinazionali o di medie grandi dimensioni, che mettevano in atto politiche serie e avanzate di smart working, certo questo virus ha imposto alla quasi totalità delle imprese pubbliche e private di riorganizzarsi con il lavoro da remoto.

Il primo pensiero che ho raccolto parlando con tanti datori di lavoro è stata la sorpresa. « I dipendenti a casa rendono al 70%», mi ha detto una dirigente che ho sentito in questi giorni, sorpresa da un rendimento più alto delle aspettative. Nelle aziende non abituate a utilizzare questa modalità di lavoro bisognerà lavorare sulla cultura organizzativa: i responsabili dovranno fare la loro parte per trasformare la cultura del controllo in cultura dell’impegno, favorendo la responsabilità e l’autonomia delle persone.

Sarà importante stabilire obiettivi chiari, concordati con i dipendenti e verificare quelli piuttosto che verificare la timbratura del cartellino, come nella cultura del controllo. Ecco, per fare questo bisogna costruire relazioni basate sulla fiducia e una capacità di strutturare efficacemente le attività proprie e altrui, articolando tempi di lavoro e azioni coerenti agli obiettivi, predisponendo azioni di monitoraggio».

Entrando dentro al suo lavoro: come cambiano le competenze trasversali, o soft skill, trovandosi a dover lavorare all’interno dell’ambiente domestico?

«Quando si lavora all’interno di un’azienda ci sono dei ritmi e dei tempi prestabiliti che tutti devono rispettare, e l’organizzazione può essere vista come una costrizione, ma anche come una guida. In ufficio ognuno ha la sua postazione, è vestito secondo dress code condivisi e ha attorno colleghi che seguono esattamente le stesse regole. Dentro casa tutto invece viene rivoluzionato. La prima competenza importante è l’assertività ovvero la capacità di rispettare le necessità proprie e altrui, esprimendosi senza aggredire e senza subire. Un esempio è la necessità di stabilire i propri confini di tempo e spazio: quanto lavoro e in quale parte della casa. Inoltre c’è una questione identitaria: il ruolo casalingo spesso non coincide con quello lavorativo, e allora genitori, figli, fratelli, co-inquilini per otto ore al giorno diventano qualcos’altro; inoltre, e qui mettiamo l’accento sul lavoro da remoto in presenza di bambini o adolescenti, non tutte le persone sono abituate a non interrompere e a non sconfinare negli spazi.

Dunque prima di tutto auto disciplina, in un senso e nell’altro. Dentro casa è difficile mettere un punto e dire a se stessi: «Bene, adesso siamo in pausa pranzo e spengo il computer». L’altra soft skill che questa situazione ci sta insegnando è l’antifragilità ovvero la capacità di affrontare l’incertezza, di modificarci a fronte di sollecitazioni, fattori di stress, volatilità, disordine. Si differenzia dalla resilienza perché ciò che è resiliente resiste agli shock, l’antifragile migliora e trae profitto dalla casualità e dalle esperienze dolorose. L’antifragilità ha la singolare proprietà di consentirci di affrontare l’incertezza, compiere azioni senza capirle e farle meglio. Il miglior esempio di antifragilità è Idra, figura mitologica greca di una donna con diverse teste, a cui ogni volta che viene tagliata una testa ne nascono altre due.

Quando riusciamo ad apprendere e a migliorarci da situazioni incerte, impreviste e negative stiamo mettendo in campo questa competenza».

E il suo lavoro, in questa fase, come sta andando avanti?

«Sto lavorando tantissimo con le persone che ora seguo a distanza . Le attività di Sviluppo e valutazione delle soft skills che svolgo presso la Pubblica Amministrazione, Università e aziende clienti sono tutte in fase di riprogettazione per poter essere erogate a distanza. Ora è il momento di mettere in pratica l’antifragilità per poter pensare a servizi che permettano alle nostre imprese di riprendere le attività con fiducia e serenità, elaborando il cambiamento di questi mesi in modo generativo.

Pertanto dovremmo concentrarci su quale parte di noi vogliamo fare evolvere per affrontare le nuove sfide che ci aspettano».

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